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Forum delle Sacerdotesse del gioco di ruolo Isola di Avalon

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Martia

Ultimo Aggiornamento: 04/12/2013 12:29
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Sesso: Femminile
Luna Candida
04/12/2013 12:29
 
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PROLOGO:

Piove. Piove su questa terra bagnata di lacrime. Le mie lacrime. Piango di rabbia mentre il cielo cerca di lavare le colpe che non ho lasciando che le fredde stille d’acqua mi scivolino addosso senza riguardo alcuno… non sono carezze ma gelide stilettate. Non corro, non corro più. Sono stanca di fuggire da un destino non desiderato. Mia sorella è rimasta, la mia gemella, la mia prediletta. Una sola cosa ci rende diverse, il colore degli occhi: azzurro assai chiaro e screziate di grigio, d’un colore che a volte par quasi simile al ghiaccio, i miei… mentre le sue iridi son castane, più calde, più dolci. I piedi sanguinano ma io continuo a camminare, ormai è un moto passivo e le gambe si trascinano da sole una avanti all’altra; la semplice veste color indaco che indosso è ormai talmente bagnata ed adesa da farmi da seconda pelle. Cammino, ma le gambe non mi reggono più. Cado. Cado sul terreno fradicio ed abbasso le palpebre lasciando che la mia mente vaghi nell’oblio, in un limbo senza pensieri.

DI UNO STRANO RISVEGLIO:

Ancora ad occhi chiusi mi crogiolo nelle sensazioni che avverto con il corpo e l’oto intorno a me. Sono stesa su qualcosa di morbido ed asciutto, non mi sento più fradicia fino alle ossa… perfino i miei capelli sembrano asciutti; non avverto freddo, ma un confortevole tepore. Alle nari giunge un buon odore, dolce aroma di gelsomino frammisto a qualche altro profumo che ancora non conosco; non schiudo le palpebre, voglio scoprire quanto posso solo in questo modo, come una persona priva della vista. Sento di avere i piedi fasciati e ch’essi mi provocano uno strano fastidio, un pizzicore… quasi come se vi fosse stato da poco applicato un medicamento. Avverto un rumore lieve, come lo scoppiettio di un fuoco… che sia un camino? Infine la curiosità prende il sopravvento, dove sono mai finita? Non provo paura, no. Così apro infine gli occhi e la prima cosa che metto a fuoco è la sagoma dei miei piedi ricoperta da una pesante trapunta, come tutto il resto del mio corpo… è una stanza spaziosa, ben arredata e dal pavimento in legno lucido, di fronte a me in fondo alla camera vi è un caminetto in pietra e dunque il mio oto non mi avea ingannato. Sorrido fra me domandandomi come io sia giunta fin qui.
E’ dopo pochi istanti che fa ingresso dall’intarsiata porta alla destra del focolare un uomo abbastanza anziano con una bella barba bianca assai curata e mi osserva con espressione sorpresa meravigliandosi, almeno apparentemente, ch’io sia sveglia. Dopo qualche attimo di stupore ei par riprendersi ed infatti così inizia a loquire :

[ Benvenuta milady nella mia umile dimora. Ditemi, chi siete? ]

Il tono di voce è gentile, lo sguardo quieto e le movenze affabili senza essere affettate… apparentemente nulla mi turba in lui, seppure io ancora non sappia chi ei sia, tranne che per l’informazione da egli stesso fornita.
Cercando di stendere un poco le braccia dietro di me, goffamente mi sistemo un poco nel giaciglio, alzandomi quanto basta perché io non sembri una moribonda. Mi sento assai fiacca, ma non così tanto da non poter replicare.

DI UNO SCAMBIO DI INFORMAZIONI:

{ Martia è il mio nome ed Elior la mia casata… come sono giunta qui? }

[ Vi ho trovata svenuta sul ciglio della strada che da Herithmor porta a Áth Cliath (//Dublino), durante l’alluvione e, seppure io non sappia da dove Voi veniste, immagino che di strada ne abbiate fatta parecchia, viste le piaghe sulle piante dei piedi. ]

Sgomento. Fitte a quelle ferite che ancora non sono rimarginate. Ricordi. Tutto riaffiora alla mente, come una folata di vento polare.

{ Oh Dea! Io scappavo… }

Sguardo affabile. Espressione che non cela nulla dietro ciò che è.

[ Questo era ben chiaro. Posso permettermi di chiederVi da cosa Lady Elior? ]

{ Ho solo sedici anni appena compiuti, la parola Lady a me non si addice… }

[ Martia allora… ]

{ Fuggivo da un matrimonio imposto. Fuggivo dalla ferocia del pretendente a me promesso da mio padre e da me rifiutato. E proseguirò ancora la mia fuga se occorresse! }

[ Quanta decisione nel vostro dire! Non temete, qui siete al sicuro. Il mio nome è Barnaldict di Athylais ed il mio maniero risiede a sessanta miglia da Áth Cliath. Posso ancora porvi qualche domanda? Poscia nuovamente vi lascerò riposare… non avete i lineamenti né il cognome irlandesi, per non parlare della vostra singolare pronuncia della erre… ]

{ I miei genitori sono originari di Lutetia (//Parigi), in Gallia, ad Herithmor sono emigrati ch’io non ero ancora nata e come tutti gli infanti quando imparano a loquire io imitavo loro, che possiedono questo accento strano… che da quanto mi è stato detto è comune laggiù. }

[ Bene, grazie per aver soddisfatto questa mia piccola curiosità. Riparleremo più avanti cara, ora riposate e fra qualche ora vi sarà portato un pasto degno d’esser chiamato tale. Dovete rimettervi in forze… ]

Si volta compiendo mezzo giro su se stesso e senza attendere una mia risposta s’allontana così com’è giunto, mentre io mi lascio nuovamente trasportare dal torpore che di me è tornato ad impadronirsi.

DEI PRIMI GIORNI DI CONVALESCENZA:

Ero stata inferma per una settimana, semi-incosciente e febbricitante. Qualcuno mi aveva curato. Un druido mi era stato accennato, ma chi costui fosse temo non lo saprò mai. Sto superando il terribile raffreddamento con una lunga convalescenza e nell’osservarmi allo specchio non riconosco più me stessa: il mio colorito è più pallido del solito, il mio volto più affilato, pesanti occhiaie contornano gli occhi e le iridi sono come sbiadite… come se l’acqua quel giorno avesse lavato via i colori dalla mia persona, donandomi una sgradita lividezza.
Ser Barnaldict è assai gentile con me, si prodiga per la mia guarigione senza apparente secondo scopo: da quando ero piccola ho scoperto che osservare le movenze, le espressioni altrui, l’intonazione della voce e soprattutto lo sguardo – che si dice essere lo specchio dell’anima – mi poteva aiutare a comprendere quali fossero le intenzioni di chi con me interloquiva ed avea funzionato spesso, soprattutto quando assolutamente non avevo idea di chi mi trovassi di fronte. Così ancora ora cerco di sfruttare questa mia capacità, a maggior ragione in questa immensa quanto splendida casa ove son trattata come il migliore degli ospiti. Scalinate, arazzi, mobili pregiatamente intagliati ed una libreria assolutamente incantevole. Ei dev’essere davvero qualcuno d’importante, di cui forse solo io rinchiusa nella mia minuta teca di cristallo non avevo mai udito.
Si è meravigliato quando ha scoperto che io da bimbetta fui istruita nella lettura, nella scrittura ed a far di conto e mi ha lasciato la chiave della stanza in cui è presente la libreria, perché io possa trascorrere del tempo senza affaticarmi e dunque senza temere una ricaduta. Io avidamente leggo ed assorbo informazioni come una spugna s’impregna d’acqua. Barnaldict mi sembra compiaciuto, forse in me vede un figlio che non ha avuto, non saprei; sua moglie è morta l’inverno scorso di tisi, magari è per questo motivo che mi ha raccolta da quella strada, forse ha provato compassione per me che somigliavo ad uno scricciolo con un’ala tarpata. Non gliel’ho mai dimandato invero, giacché penso di aver compreso o magari perché ho scelto di dare un mio particolare senso a tutto questo… chissà. Quel che per certo ho imparato nella vita è che non tutte le azioni compiute sono motivate, vi sono istinti che non riescono ad essere dominati. L’uomo è un animale in fin dei conti e spesso il fatto che sia dotato d’intelletto lo rende la bestia più abietta di tutte, essendo capace di indurre la propria ragione ai più bassi scopi, facendolo diventare scellerato.

DI UNA LETTURA E DI UNA DECISIONE:

Trascorrono i giorni in un pigro ma costante fluire ed altrettanto lentamente io sto rifiorendo: i miei occhi ora sono lucenti, non più sbiaditi come un affresco stinto al sole e le mie guance nuovamente rosee; ma c’è ancora qualcosa che non va nel mio sguardo ed è cosa notata dal mio ospite che talvolta con estrema gentilezza mi dimanda se desidero confidarmi, liberare il sentimento che opprime la mia anima. Non è però cosa semplice, non so se mi sento pronta per raccontare a qualcuno l’intera mia storia… forse non lo sarò mai, così come forse non mi sentirò mai preparata a varcare nuovamente la soglia del mondo.
Talvolta giungono dalla città (Áth Cliath) dei suoi conoscenti, amici di gioventù per lo più, che lo invitano a recarsi da loro per non restare ivi in solitudine… io preferisco non farmi scorgere e rimanere come fantasma ad ascoltare, curiosa come solo un’adolescente può essere, le loro conversazioni, oppure immergermi nelle mie letture appassionanti.
Me ne resto spesso qui coccolata dal tepore di questa dimora senza pensare per davvero al futuro, ma durante un momento tanto inaspettato come questo – mentre seduta vicino al focolare della stanza in cui alloggio - mi ritrovo a leggere uno scritto:

« La barca continuò a procedere. E poi, come una tenda scostata, la nebbia sparì. Davanti a loro stava una distesa d’acqua assolata ed una riva verdeggiante. Il Tor era là. In cima al Tor stava un cerchio di pietre erette, fulgido nel sole, e la grande strada professionale saliva intorno all’immensa collina. […] Non avrebbe mai dimenticato la visione di Avalon al tramonto. I prati verdi digradavano verso i canneti e sull’acqua nuotavano i cigni. Sotto le querce sorgeva un basso edificio in pietra grigia, ove delle figure biancovestite si aggiravano fra le colonne. Nell’aria aleggiava il suono di un’arpa. La luce obliqua inondava la terra d’oro e di silenzio. » *

Son parole che mi rapiscono e ben rimangono impresse nella mia giovane mente evocando immagini ed un’atmosfera deliziosa: sotto il materno sguardo della Triade, come descritto in altri passi del tomo, giace l’Isola ed essa da ritmi differenti par esser governata. E dunque, troppo affascinata da tal descrizione e dal libro in generale, senza pensarci troppo mi alzo dal mio scranno e velocemente mi dirigo verso dove so esserci lui: come una ventata d’aria nuova giungo con il volume ben stretto fra le braccia ed ei, senza nemmeno attendere le mie parole ma già solo osservando la copertina in pelle del libro mormora parole che a stento riesco ad udire:

[ Sapevo che prima o poi lo avreste trovato… e che mi avreste abbandonato nuovamente in questa solitudine che dallo scorso inverno come tenace morsa mi avvolge. ]

Stupita l’espressione che sul mio volto si viene a formare, le coralline labbra pure si schiudono con moto di sorpresa : come faceva ei a sapere quale fosse il mio desiderio? Non ho quasi il tempo di formulare il pensiero che Barnaldict nuovamente riprende a loquire, ora a voce un poco più alta e guardandomi negli occhi con tale profondità che temevo potesse trafiggermi:

[ Anche io nel leggere la descrizione sono rimasto così affascinato da volermi dirigere lì, ma avevo già una moglie e non mi sarei potuto allontanare così facilmente. Quel libro… fa sempre il medesimo effetto su tutti e chissà se quest’Isola dei Meli esista davvero! Martia Voi mi avete regalato compagnia ed amicizia e per qualche mese non mi son sentito un vecchio solo a deperire in questa dimora troppo grande. Ma siete giovane, avete diritto di vivere e per certo io morrò presto dunque andate pure… solo… solo Vi dimando di lasciarmi uno scritto con la Vostra storia, la curiosità è l’unico lusso che mi sia rimasto. ]

Un groppo sale lento alla gola, mentre lo sguardo si fa lucido e qualche lacrima va ad imperlare il contorno del naso. Son discorsi che commuovono e che mi lasciano ancora più sbalordita di quanto potessi esserlo in precedenza: come reagire se non con le prime parole che salgono alle labbra?

{ Non dite sciocchezze, Vi prego… perché non Vi recate ad Áth Cliath da quei Vostri amici che son venuti poco più di una luna or sono? La città ha molto più da offrire rispetto ad un paese e la compagnia sarà gradevole… }

Annuisce Athylais con il sorriso di chi la sa lunga per poi tornare ad occuparsi di quel che stava facendo prima della mia improvvisa, ma a quanto pare non inattesa, venuta. Silenziosamente mi allontano dalla stanza già meditando su come raggiungere tal luogo quando, guardandomi ad uno degli specchi che adornano la casa, mi ritrovo ad osservar la lunga treccia bionda che scende composta lungo la schiena per terminare appena sopra i lombi: alla mente rapida giunge un’idea ed io mi precipito per casa in cerca d’una lama o d’un rasoio. Una volta trovato l’oggetto tagliente rimango per qualche istante a rimirare i capelli biondo cenere raccolti nella solida acconciatura per poi tarpare con taglio deciso dalla nuca verso l’esterno la treccia lasciando poi ricadere sciolti quel che rimaneva della mia chioma del color del grano. Ciocche vaporose ricadono ad incorniciare il mio viso ed io rimango un poco inebetita ad osservare la mia nuova immagine, come se per la prima volta mi guardassi allo specchio.

DI UNA PARTENZA E DI UNA LETTERA:

Non sono occorsi poi molti giorni ai preparativi per la mia avventura: quel su cui più volte ho meditato è che più lontano fossi giunta e meno facilmente sarei potuto esser trovata e costretta a ritornare. Ma fortunatamente non sono l’unica a partire, Barnaldict ha davvero preso la decisione di andar a trascorrere del tempo ad Áth Cliath da questi suoi conoscenti ed a me piace pensare che sia un poco anche merito mio. Mi appresto ormai alla partenza, ma non dimentico le parole del vecchio ed ora mi appresto a scrivere una mia breve memoria…

Caro Ser Barnaldict,
ho infine deciso di vergare la mia storia così da soddisfare la Vostra sana curiosità. Quando la leggerete non potrete più farmi domande, almeno per il momento, giacché mi sarò già allontanata dunque mi auguro non avrete molti dubbi.
Mai ho raccontato menzogne, mi nomo per davvero Martia Elior e nacqui in una notte di primavera durante la Festa dei Fuochi, Beltane in compagnia d’una sorella gemella che fisicamente quasi in tutto m’assomiglia. Ho sempre pensato ch’essere nata in quella sacra notte mi avrebbe forgiato lo spirito, alla Signora dal triplice volto sono assai devota seppure io non spesso lo dimostri all’altrui sguardo. Mio padre è un apprezzato orafo di Herithmor mentre mia madre si è dedicata al focolare ed alla nostra istruzione, ma io per indole personale non ho mai amato l’idioma gallico e dunque poco lo parlo ma assai lo comprendo.
Quando ebbi dodici anni giunse un uomo dalla città, Áth Cliath, con cui mio padre era in ottimi rapporti di lavoro… costui era ed è tuttora una personalità di spicco ed il mio stolto padre decise di offrirgli la mia mano per ottenere un matrimonio vantaggioso: la mia dote sarebbe stata notevole ed io sarei diventata la moglie di un uomo potente ad un’unica condizione: la mia età al momento dello sposalizio non dovea esser più bassa di quindici anni.
Ma ad un cuore libero non così si puote comandare ed io che sol lo scorso anno appresi di tale matrimonio, mi ribellai proprio mentre il mio promesso giungeva in paese, lo avevo già veduto altre volte e mai mi era piaciuto come persona: sgarbato ed arrogante nei gesti e nell’intonazione della voce, cattivo e sprezzante nello sguardo… avea gli occhi di chi sapeva tutto del mondo, come se nulla più potesse imparare dagli altri, non avevo dovuto studiarne granché le movenze per comprendere quanto poco costui mi garbasse. Fu dura la punizione alla mia insubordinazione – se così posso definirla - tanto più che proprio da ei mi fu inferta: forse credea ch’io già fossi proprietà sua e mio padre in alcun modo tentò di fermarlo. Mi picchiò. A sangue. Non urlai mai, non gli avrei dato questa soddisfazione. Credo che lui nemmen si sia reso conto di quanta forza avesse impiegato né di come mi avesse ridotto, tumefatta su tutto il corpo e forse pur con qualche costola se non rotta per lo meno incrinata. Rimasi nel letto per tre settimane, accudita dalla mia vera unica amica, mia sorella, mentre ei ripartì per Áth Cliath.
Costituivo un’onta per la mia famiglia e comunque dovevo venire preservata per lui quindi mi fu vietato di uscire anche dopo che mi fui rimessa… ero costretta a vivere relegata nelle quattro mura domestiche e così feci, grazie alla pazienza ed all’amore della mia prediletta.
Nella primavera di quest’anno egli fece ritorno per sposarmi e portarmi con sé in città. Nuovamente mi ribellai, ma prima ch’ei potesse mettermi le mani addosso fuggii, consapevole che lui fortunatamente non voleva mia sorella, ma solo colei che già la prima volta non era riuscito a domare. L’ultimo ricordo che ho di quel giorno è che durante la fuga mi tolsi le scarpe perché mi facevano male ai piedi e corsi per non so nemmeno quanto a piedi scalzi, finché stramazzai al suolo ove Voi mi avete trovato… il resto è storia conosciuta.
Volutamente, Messere, non ho fatto nomi seppure sia conscia che Voi potreste forse aver già compreso chi sia costui che a tutti i costi mi desiderava in sposa, giacché dubito che ad Áth Cliath vi siano molte personalità rilevanti . Sol Vi chiedo il riserbo più assoluto sebbene per quel che Vi conosco non siete persona che è usa raccontar della sorte di altri.
Vi ringrazio per tutto l’affetto che mi avete donato, per la Vostra amicizia e per l’ospitalità. Non dubito che ci incontreremo ancora.

Con sincero affetto.

§ Martia Elior §

EPILOGO:

Son partita dunque su un puledro regalatomi dal mio caro Ser Athylais, ho attraversato il mare e per la Britannia del Nord ho vagato per mesi alla ricerca della giusta indicazione. Non sono uno spirito che s’abbatte facilmente e seguendo la via prefissata con Barnaldict mi son diretta a Sud-Ovest, dimandando di tanto in tanto ad altri viandanti oppure a residenti e più volte mi sono smarrita, temendo quasi che mai sarei giunta alla meta prefissata, iniziando a pensare che solo d’una leggenda si trattasse. Infine, in un gelido giorno di Beth son giunta presso una cittadella di nome Barrington, ove ho venduto il cavallo per aver il denaro con cui cibarmi ed ivi qualched’uno senza esitazione mi ha detto di raggiungere la baia, all’orizzonte avrei potuto ammirare Avalon nella sua bellezza, rigogliosa isola che si specchia nelle limpide acque blu del lago e così infatti è stato.




* Breve passo prelevato dal romanzo “Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Breadley ( cap XI).









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